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La fine del cattolicesimo democratico

Nei mesi estivi si è diffuso nella stampa italiana un dibattito sulla rilevanza e l’efficacia dei cattolici, soprattutto dei cattolici democratici, nella politica contemporanea italiana. Molti hanno notato una sorta di paradosso nella irrilevanza, anzi nella vera e propria assenza dei cattolici democratici nell’ambiente politico, in un contesto ecclesiale invece (papa Francesco, mons. Zuppi, ecc.) particolarmente favorevole a loro.

Io non voglio, per ora almeno, entrare nel merito di questo dibattito. Voglio solo far notare un pregiudizio che informa ogni intervento che ho letto ed è quello che vede nel cattolicesimo, soprattutto nel cattolicesimo democratico, una categoria politica standard esportabile in ogni epoca della storia italiana. Invece, come ogni categoria umana, anche il cattolicesimo democratico ha una connotazione storica che la rende valida solo in un certo contesto, fuori dal quale perde di rilevanza.

Tutto ha inizio con il pontificato di Leone XIII, quello della Rerum Novarum tanto per intenderci, alla fine del XIX secolo. Dopo decenni di avversione e chiusure verso il mondo moderno la Chiesa di Leone XIII inizia un approccio possibilista. Secondo la visione leonina il mondo moderno, con la sua crescita economica e il suo progresso democratico e civile, potrebbe non essere malvagio se, e soltanto se, venisse guidato dalla Chiesa. Senza la presenza della Chiesa come anima del mondo moderno quest’ultimo precipiterebbe in caos senza fine, dove povertà, conflitti sociali, guerre tra nazioni e totalitarismi avrebbero la meglio.

In attesa che gli Stati si ravvedano nel loro percorso che esclude la Chiesa dai loro destini, magari utilizzando lo strumento del Concordato come in Italia nel 1929, dall’epoca di Leone XIII in poi inizia la costruzione di un mondo alternativo e parallelo a quello moderno, formato esclusivamente da cattolici o comunque guidato e organizzato da cattolici. È così che nascono e si affermano le banche cattoliche, i sindacati cattolici, l’associazione degli imprenditori cattolici, le scuole e le università cattoliche, ecc. nella convinzione che quello sarebbe stato il giusto modo di vivere i progressi della modernità.

È dentro questo variegato “mondo cattolico” in quel contesto storico e culturale che nascono i cattolici democratici. Don Sturzo e Romolo Murri sono figli di quell’epoca. La variante “democratica” del cattolicesimo è stata influenzata dalle letture delle opere di Jaques Maritain il quale auspicava una collaborazione tra cattolici e non cattolici ma sempre all’interno di un progetto storico concreto frutto della riflessione cattolica e dentro la guida cattolica. Maritain inaugura, se vogliamo utilizzare un linguaggio poco corretto ma credo efficace, l’“ala sinistra” del cattolicesimo ma sempre dentro la cornice teologico-politica inaugurata da Leone XIII. E con lui tutti i cattolici democratici italiani formati nel periodo pre-conciliare, De Gasperi, Dossetti, Moro, Fanfani, La Pira, i fucini del Codice di Camaldoli, ecc.

Il Concilio Vaticano II ha letteralmente smantellato il progetto storico di Leone XIII e della Chiesa della prima metà del ‘900. L’ecclesiologia del popolo di Dio, la teologia dei segni dei tempi e tutte le altre novità teologiche che informano i documenti conciliari cambiano radicalmente il modo di pensare il ruolo dei “battezzati” nel mondo. La Chiesa si fa compagna di strada del mondo, riscopre la dimensione profetica, la tensione verso il Regno e i poveri, i sofferenti e gli esclusi come segno della presenza di Dio nel mondo. In un contesto del genere non ha più senso il progetto storico di Leone XIII come non hanno più senso i figli di quel progetto, anche i cattolici democratici.

In Italia, a dire il vero, i cattolici democratici, a partire da quelli che hanno animato l’Azione Cattolica dalla fine degli anni ’60 a tutti gli anni ’80, sono stati tra i migliori interpreti e operatori delle novità del Concilio ma lo hanno fatto con gli occhi di quel cattolicesimo pre-conciliare di cui erano figli. La scelta religiosa dell’Azione Cattolica e la cultura della mediazione che da quella scelta è scaturita, hanno ingabbiato le novità conciliari dentro una struttura che all’inizio è stata cassa di risonanza ma poi ha fatto da freno al diffondersi dello spirito del Concilio: il dialogo e la mediazione possono funzionare solo se ci sono dei soggetti più o meno forti che si confrontano, se i soggetti non ci sono più dialogo e mediazione perdono di significato.

Non conosco la storia personale di mons. Zuppi ma quella di papa Francesco oramai la conoscono tutti. Ebbene Jorge Bergoglio non ha nulla a che vedere con il cattolicesimo democratico. La Chiesa dell’America Latina ha avuto un impatto più diretto, con minori precomprensioni rispetto a quella europea sull’applicazione delle novità conciliari. La famosa “teologia del popolo” argentina, verso la quale alcuni vorrebbero attingere per un ritorno al popolarismo al fine di rinvigorire le radici del cattolicesimo democratico, a parte il fatto che anche lei andrebbe situata storicamente perché è una teologia degli anni ’70 e non è detto che cinquant’anni dopo sia utilizzabile senza effetti collaterali, è una teologia lontana da quella europea, sicuramente poco utilizzabile al solo fine di rinvigorire il cattolicesimo democratico.

Io credo invece che ci sia una fine per ogni cosa. È bene prendere consapevolezza che se il cattolicesimo democratico oggi è assente dal dibattito politico italiano è perché è giusto che sia così, perché per ogni cosa c’è una fine. Il vero problema è che non c’è nulla al suo posto e forse una parte della responsabilità di questo vuoto risiede nel ruolo ingombrante che il cattolicesimo politico, anche quello democratico, hanno avuto nei decenni post-conciliari.

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