Press "Enter" to skip to content

Io sono indignato

A pochi giorni dall’omicidio di Alika Ogorchukwu siamo ancora tutti sgomenti ed indignati, combattuti tra la tristezza per la morte del nigeriano e la rabbia nel sentirsi impotenti davanti ai fatti accaduti. Tristezza e rabbia si provano anche davanti all’aggressore omicida, che più passa il tempo e più si delinea la figura di un giovane con problemi psichiatrici, evidentemente incapace di gestire la rabbia. Certamente carnefice ma anche vittima delle proprie patologie.

Quello che ha destato più rabbia e indignazione nei commenti a caldo sull’accaduto è il mancato intervento di chi ha assistito all’omicidio. I molti presenti nei pressi dell’aggressione sono stati solo capaci di accendere il telefonino e riprendere la colluttazione senza preoccuparsi di intervenire per sedare la rissa. La prima reazione è quella di accusare i presenti di mancanza di empatia, di indifferenza davanti ad un crimine efferato. Se ci fossimo stati noi saremmo intervenuti e oggi si parlerebbe solo di una semplice rissa in pieno corso Umberto I a Civitanova Marche.

Io ho difficoltà a giudicare i presenti. Prima di tutto perché da un audio che ho ascoltato si sono sentite grida di paura, “così lo ammazzi”, che non sembravano proprio segni di mancata empatia o indifferenza. Poi non so io cosa avrei fatto se mi fossi trovato lì. A mente fredda, con il senno di poi, sarei intervenuto sicuramente, tutti saremmo intervenuti. Ma lì, in quel momento, davanti ad un atto di violenza reale tra due uomini adulti che nessuno avrebbe mai pensato arrivassero all’omicidio, non saprò mai, nessuno di noi lo potrà sapere mai, come si sarebbe comportato.

Quello che è certo, però, è che il contesto culturale nel quale viviamo non aiuta ad esprimere empatia verso chi soffre. Tutto rema contro. Viviamo in un mondo che veicola modelli di vita fatti di giovani, atletici e di successo e tutti gli altri sono sfigati, da allontanare e non frequentare. Viviamo in un mondo dove raggiungere gli obiettivi significa lottare contro qualcuno che compete con noi, e chi perde la competizione in qualche modo viene deriso, perché chi vince merita e chi perde è colpevole.

Viviamo in un mondo che alimenta paure, di ogni genere e di tutti i tipi, dai virus alla guerra, dai profughi ai neri, dagli zingari ai ladri, etc. La paura è funzionale all’industria della sicurezza. Viene creata con chiare strategie di marketing per alimentare il mercato, spesso elettorale, dell’uomo forte a cui delegare i propri diritti e le proprie libertà per sentirsi sicuri.

In un mondo così strutturato sfido chiunque ad intervenire in una rissa tra un mendicante nero e un meridionale non lucido mentalmente.

Eppure Civitanova Marche e tutta la provincia di Macerata è piena di esempi di solidarietà, di empatie verso chi soffre, e non solo estemporanee ma strutturali, fatte di volontariato, di associazioni caritative, di strutture di assistenza che però non hanno il rilievo culturale che meritano, non sono affatto incisive nel tessuto culturale cittadino, anzi che vengono lasciate appositamente ai margini.

Se indignazione ci deve essere, deve essere rivolta proprio verso questo regresso culturale della nostra società, che alimenta disgregazione sociale, conflitti e il circolo vizioso della paura. Io sono indignato.

2 Comments

  1. Paola Petrucci Paola Petrucci 1 Agosto 2022

    Non condivido quanto scrivi sull’intervenire o meno.
    Io sono intervenuta più volte, da sola e, come penserebbe qualcuno, pur essendo donna.

    • Francesco Sandroni Francesco Sandroni Post author | 2 Agosto 2022

      Sono contento che saresti intervenuta, probabilmente sarei intervenuto anch’io. È difficile però giudicare, e chi lo fa si pone sempre in una posizione scomoda, quella del fariseo che giudica dall’alto della sua superiorità morale. Una posizione che a me non piace.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *