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Referendum e Parlamentari. Dalla quantità alla qualità

Un sito che si occupa di ante-politica non può non occuparsi del referendum sulla diminuzione del numero dei parlamentari. Anche perché sembra che la sua proposta venga proprio dai pregiudizi più anti-politici che si possano avere: i parlamentari sono la zavorra della politica, vengono pagati tantissimo e inutilmente, quindi tagliamone una metà. Risposta semplice a problemi complessi. Anti-politica da manuale.

Noi, però, non cadremo nella trappola dell’anti-anti-politica. Sarebbe troppo semplice, di nuovo. Noi siamo per l’ante-politica. Quello che viene prima e ne è a fondamento. Per degli ante-politici come noi il problema non è la quantità dei parlamentari ma la loro qualità. Noi lavoriamo affinché i nostri parlamentari siano qualitativamente adatti ad essere rappresentanti del popolo che li ha eletti. Da che si valuta la qualità di un parlamentare? Qui il discorso si potrebbe fare difficile ma semplificando, spero non eccessivamente, si potrebbe dire che un parlamentare per essere qualitativamente adatto al ruolo che riveste

1. dovrebbe avere la consapevolezza di rappresentare tutto il popolo italiano, non solo coloro che lo hanno eletto (gli elettori) né solo coloro che lo hanno scelto per essere eletto (i partiti o i movimenti politici) e per questo dovrebbe avere un’idea complessiva del bene della nazione, cioè dovrebbe essere senza vincolo di mandato;

2. dovrebbe avere la coerenza di perseguire obiettivi politici, legislativi e amministrativi presentati agli elettori durante la campagna elettorale, e saper spiegare pubblicamente il perché di un legittimo cambio di questi obiettivi in corso di mandato;

3. dovrebbe avere, inoltre, le condizioni istituzionali (economiche, giuridiche, architettoniche, etc.) funzionali a svolgere bene il proprio lavoro.

Si potrebbero aggiungere a queste tre caratteristiche una miriade di altre qualità ma credo che queste tre siano il minimo sindacale per avere dei buoni rappresentanti del popolo.

La domanda che ora ci dobbiamo porre, però, è la seguente: c’è un rapporto tra la qualità e la quantità dei parlamentari? Sono variabili indipendenti una dall’altra oppure tra loro c’è un anche piccolo rapporto?

È evidente che molta della qualità dei parlamentari dipende dalla legge elettorale, più che dalla quantità, e dipende anche dalla selezione dei candidati che avviene nei partiti o nei movimenti politici. Ma qualcosa incide anche nella quantità. Infatti i padri costituenti, quando scrissero gli articoli che parlavando della quantità dei parlamentari, avevano in mente una logica ben precisa nel rapporto quantità/qualità. Logica che rimase inalterata anche quando nel 1963 cambiarono gli stessi articoli della Costituzione, 57 e 58. Nel 1948 la nostra Costituzione stabiliva un numero di parlamentari proporzionale alla popolazione: prevedeva un deputato ogni 80.000 abitanti e un senatore ogni 200.000. I parlamentari, quindi, variavano al variare della popolazione. E la logica era chiara: perché un parlamentare potesse svolgere bene il proprio lavoro doveva avere un legame intenso con il territorio che lo aveva eletto, oltre che con il partito che lo aveva selezionato e candidato. Negli anni ’50 i sistemi di comunicazione non erano come quelli di oggi e la presenza fisica del parlamentare nel territorio era fondamentale e poteva essere fatta solo con un numero di cittadini facilmente raggiungibile. Nel 1963, stabilendo un numero fisso di parlamentari non si voleva cambiare la logica dei padri costituenti, si voleva solo impedire che la crescita demografica che in quegli anni registrava il cosiddetto “baby boom”, rendesse ipertrofico il parlamento impedendone una buona funzionalità.

Capite che qualità e quantità erano perfettamente presenti nella logica dei padri costituenti e in quella dei riformatori del 1963. Non poteva esserci qualità nella vita parlamentare senza una relazione diretta con la propria base elettorale e, simultaneamente, non poteva esserci qualità nel lavoro parlamentare in un parlamento troppo affollato o troppo poco affollato.

La riforma prevista dal referendum di settembre, invece, cambia completamente la logica dei padri costituenti: si avrebbe un deputato ogni 150.000 cittadini e un senatore ogni 300.000. Come incide questo con la qualità? Intanto bisogna dire che oggi i tempi sono cambiati e la tecnologia permette relazioni dirette con un numero illimitato di persone, contemporaneamente. Non è più necessario quindi un rapporto stretto tra cittadini territorialmente situati e il rappresentante del popolo. I mezzi di comunicazione di massa, televisione prima e internet poi, hanno sradicato il rappresentante dal territorio. Attenzione, questo potrebbe apparentemente sembrare un bene, in realtà è stato un male e ha contribuito ad alimentare quella che chiamiamo l’anti-politica. Addirittura è uno dei motivi per cui oggi esiste la crisi della rappresentanza. Infatti nel rapporto con i cittadini, i parlamentari vengono sistematicamente bypassati dai leader di partito o di governo che possono accedere ai mezzi di comunicazione. Diventa un rapporto diretto e apparentemente esclusivo tra leader e cittadini. Tutto ciò che è in mezzo, dai parlamentari ai partiti, ha perso clamorosamente di senso. È un po’ quello che è successo alla chiesa cattolica con il papa: prima dell’avvento dei moderni mezzi di comunicazione i fedeli cattolici avevano un rapporto con la chiesa attraverso il parroco e, anche se più raramente, con il vescovo. Oggi ci si chiede perché continuino ad esistere parroci e vescovi se è possibile avere costantemente, tutti i giorni, il papa nelle nostre case.

Una diminuzione del numero dei parlamentari potrebbe riportare, accompagnata da una legge elettorale seria e da criteri rigorosi per la loro selezione da parte dei partiti, più autorevolezza: meno parlamentari più visibilità mediatica. Ma sarebbe solo un’illusione. L’autorevolezza dei parlamentari, aumentata dalla loro diminuzione di quantità, si concretizzerebbe semplicemente in visibilità mediatica, cioè in slogan pubblicitari simil-elettorali, post sui social, ritocchi fotografici, etc. L’esatto opposto di una autorevolezza “professionale”, nel senso weberiano del termine. Quest’ultima, in realtà, potrebbe essere compromessa proprio dalla diminuzione del numero dei parlamentari. Infatti le attività parlamentari, che non sono solo quelle di votare nell’aula ma soprattutto quelle di partecipazione alle commissioni e tutto il lavoro di studio e di preparazione che questo comporta, che oggi fanno 630 deputati e 315 senatori dopo il 21 settembre la dovrebbero fare 400 deputati e 200 senatori. Riusciranno a fare tutto il lavoro? Forse sì, secondo alcuni, forse no, secondo altri. Certo dovranno farsi aiutare sempre più dagli esperti, dagli amministrativi in servizio nei rispettivi rami del parlamento. Con la diminuzione dei parlamentari, quindi, è difficile capire se diminuirà la professionalità dei politici certo aumenterà quella del personale tecnico del parlamento, con un peso importante nella politica nazionale senza che siano rappresentanti di qualcuno.

Non solo. Meno parlamentari comporterà inevitabilmente un maggiore peso decisionale di ogni parlamentare. È la logica dei numeri. Ma diminuirà anche la quantità di parlamentari da contattare per eventuali “spintarelle” decisionali. Insomma il paradiso delle lobbies. Certo anche il paradiso delle petizioni popolari, da mandare via mail a tutti i parlamentari. Ma quelli che più se ne avvantaggeranno saranno proprio i poteri (economici) forti, che hanno argomenti ben più accattivanti di quelli delle petizioni popolari.

Insomma nonostante abbiamo preso sul serio la proposta del prossimo referendum, quella di diminuire in maniera sostanziosa il numero dei parlamentari, a conti fatti non ci soddisfa per niente.

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