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Tracce di indottrinamento. Il governo Meloni alla prova di maturità.

Ho letto con molto interesse le tracce dell’esame di italiano, la prima prova dell’esame di Stato, che sono state proposte ai ragazzi pochi giorni fa. Tracce interessanti e stimolati, come ogni anno del resto. Io avrei fatto, se avessi avuto qualche decina d’anni in meno (e la testa di oggi), il tema sulla poesia di Salvatore Quasimodo. Ma non è di questo che voglio parlarvi oggi (e ne avrei davvero voglia). C’è un’altra cosa che ritengo più importante.

All’interno delle numerose tracce proposte ce n’è una sull’idea di nazione. Appena l’ho vista ho detto, ecco qua, il ministro Valditara (o chi per lui), ha colto l’occasione per veicolare ai ragazzi della maturità questa specie di ideologia che la cultura, si fa per dire, che gravita intorno all’attuale governo, ha riesumato dal passato. Ma vabbè, mi sono detto, sarà un’occasione per mettere alla prova la capacità critica degli alunni, la loro maturità vera. Del resto, la citazione iniziale che introduce la traccia e che serve da riflessione agli alunni, è tratta da un libro di Federico Chabod, uno dei più grandi storici italiani del ‘900, partigiano e studioso di indiscusso valore anche ideologico e morale. E quindi ho scorso e letto altro.

Poi qualcuno mi ha inviato la registrazione di una trasmissione di Radio Popolare, “Quel che resta del giorno” mandata in onda il pomeriggio della prova d’esame, dove il conduttore radiofonico Luigi Ambrosio intervistava lo scrittore e anche storico italiano David Bidussa. Bidussa ha notato che tutte le tracce della prova d’italiano hanno una lunga citazione che introduce il quesito vero e proprio, e le citazioni sono complete, nel senso che viene riportato un brano di un’opera per intero, senza tagli o interruzioni. Tutti, tranne quello sull’idea di nazione. Il brano, tratto dal libro di Chabod “L’idea di nazione”, è frutto di svariati copia/incolla di un brano abbastanza lungo del libro che va da pag. 76 a pag. 82. Bidussa afferma, giustamente, che forse la cosa più interessante è andare a vedere cosa non c’è scritto nella traccia, cosa è stato tagliato, più che quello che c’è scritto.

Bidussa mi ha stimolato ad andare a vedere di persona. Ho acquistato il libro di Chabod che non avevo (la Carta del Docente dovrà pure servire a qualcosa), ho preso le sette pagine incriminate e sono andato a vedere cosa avevano combinato gli estensori della traccia d’esame. In quelle pagine del libro, che in realtà sono la trascrittura di alcune lezioni che il professore ha svolto in università in piena guerra di liberazione, negli anni ’43-’44, Federico Chabod, dopo aver ricostruito l’idea di nazione nell’epoca medievale e rinascimentale, si occupa dell’idea di nazione nell’epoca risorgimentale. Dopo aver ricostruito la diversa idea di nazione che avevano i francesi rivoluzionari rispetto agli idealisti tedeschi finalmente arriva all’Italia e a Mazzini, sopra tutti. In questo contesto egli scrive queste sette pagine utilizzate dagli estensori per la traccia d’esame. Sono pagine, però, leggermente slegate dalla ricostruzione storica vera e propria. L’occasione per dire quello che dice Chabod ce l’ha dal fatto che alcuni storici, che chiama «studiosi di assai scarso valore», dicono che nazione e libertà possono anche essere separati e che la nazione è sufficiente a sé stessa senza bisogno di realtà politiche superiori ad essa. Evidentemente egli parla degli ideologi fascisti. È contro costoro, per smontare le loro teorie, che Chabod scrive.

Apparentemente gli estensori della traccia hanno semplicemente tolto quello che, nello scritto di Chabod, poteva sembrare ridondante e superfluo per una traccia d’esame. Infatti, nella traccia troviamo quello che è scritto in quelle pagine, il rapporto indissolubile tra nazione e libertà e quello tra nazione ed Europa. Ma con un retrogusto fastidioso. Il senso di quello che risulta, dopo aver tolto una quantità considerevole di righe, infatti, è diverso da quello che scrive Federico Chabod.

Prima di tutto manca il motivo per cui Chabod parla del rapporto nazione-libertà e nazione-Europa, cioè combattere l’ideologia dittatoriale e autarchica fascista. Nella traccia non ce n’è ombra. Poi, manca il richiamo ai valori liberali della Rivoluzione francese, verso la quale Chabod scrive, citando Camillo Caracciolo di Bella, «il concetto di nazionalità non è altro che quello della libertà politica applicato alle circoscrizioni territoriali; esso è la seconda fase del diritto pubblico dell’89, è il riferimento dei grandi principi della Rivoluzione francese alle relazioni fra popolo e popolo». Come dire che l’idea di nazione è funzionale a quella di libertà, cioè prima viene la libertà e poi, in quanto serva della libertà, la nazione.

Gli estensori della traccia, poi, hanno scelto di conservare nella testo d’esame un brano che parla del rapporto tra libertà e lotta allo straniero (Cavour ha voluto prima la libertà interna al Piemonte con lo Statuto albertino e poi la lotta allo straniero) lasciando fuori, però, la citazione di Mazzini nell’appello ai Giovani d’Italia il quale dice chiaramente che da una parte non si può separare la libertà interna dalla lotta allo straniero esterna ma soprattutto che la lotta allo straniero non altro che le guerra di indipendenza. Per Mazzini non si potevano contrapporre Libertà e Indipendenza. Forse per i ragazzi tutto questo era già chiaro dagli studi di storia, chissà, certo che lo straniero di cui parla Chabod, Cavour e Mazzini non è il povero immigrato clandestino sbarcato illegalmente con i gommoni, ma l’austriaco ricco e potente del lombardo-veneto. È per questo che quelle guerre combattute in Italia nel secondo ‘800 si chiamano “guerre di indipendenza” a favore della costruzione di una nazione, perché combattute contro uno straniero ricco e potente che crea dipendenza. Quelle fatte contro poveri e indifesi non si possono chiamare “guerre di indipendenza”, sono guerre per l’oppressione e la schiavitù, l’opposto dell’idea di nazione mazziniana. Ma questo, ovviamente, dal testo della traccia d’esame non si vede, anzi il termine “straniero” lo si lascia lì, come termine allusivo, chi vuol capire capisca.

Ma andiamo all’Europa. Anche qui le scelte di taglio e cucito degli estensori della traccia mostrano che Mazzini ama la nazione perché ama l’umanità: la nazione è «il mezzo altissimo, nobilissimo, necessario ma mezzo, per compiere il fine supremo: l’umanità». Patria (usata come sinonimo di nazione) e Umanità sono dunque ugualmente sacre, conclude Mazzini nella traccia. Cosa lasciano fuori, però? Guarda caso lasciano fuori buona parte della citazione di Mazzini, che tra l’altro dice: «E solamente allora [cioè quando raggiunto il fine supremo: l’umanità] la parola straniero passerà dalla favella degli uomini; e l’uomo saluterà l’uomo, da qualunque parte gli si moverà incontro, col dolce nome di fratello». Nella traccia questo non c’è, ovviamente.

Oliver Reboul, qualche anno fa (era il 1977) ricordava, in un pamphlet interessantissimo intitolato “L’endoctrinement”, quanto pericoloso fosse l’indottrinamento nella scuola pubblica. Soprattutto quando a gestire l’insegnamento scolastico erano regimi dittatoriali, veicolando ideologie senza scrupoli. Hitler, ad esempio, diceva che una rivoluzione non fallisce se alla semplice presa del potere si accompagna la guida educativa.

Reboul chiarisce che l’indottrinamento nazista è frutto di un lavoro accurato, fatto in maniera sottile, utilizzando soprattutto il linguaggio. «L’indottrinamento hitleriano ha saputo utilizzare magistralmente le risorse del linguaggio, e in particolare sotto tre riguardi: 1. Facendo leva su parole ritmate […]. 2. Puntando sulla connotazione dei termini, sulla loro carica affettiva, sul loro potere evocativo. […]. 3. Facendo leva sull’ambiguità dei termini. Per esempio il più evocativo fra i termini dell’hitlerismo è senza dubbio völkisch, aggettivo derivato da Volk (popolo) che per gli hitleriani significa popolare, nazionale, razziale, razzista; il potere magico derivava a quel vocabolo sia dal suo passato romantico sia dalla sua ambiguità; alcuni erano attratti dall’aspetto “sociale”, altri da quello “nazionale”, altri ancora da quello “razziale”. Tutti vi ritrovavano quello che meglio loro conveniva».

Cosa evoca, per voi, l’idea di nazione? E quella di straniero?

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