Mi hanno inviato un interessante articolo di Flavio Corradini, docente di informatica all’Università di Camerino, pubblicato il 4 ottobre 2025 sul Corriere Adriatico, dal titolo “L’IA sa leggere preghiere ma non riesce a pregare”. Interessante almeno per due motivi.
Il primo è che l’autore ribadisce un concetto espresso da molti ma mai abbastanza, forse, cioè che le macchine, anche quelle più evolute, non potranno mai essere come l’essere umano. Le macchine sono guidate da algoritmi, cioè da espressioni logico-matematiche, mentre l’essere umano è non solo esprit de géométrie ma anche e soprattutto esprit de finesse, per dirla con Pascal, uno spirito che la macchina non potrà mai avere.
Il secondo motivo, secondo me più interessante dell’altro, è legato al fatto che l’autore legge il funzionamento delle macchine di intelligenza artificiale direttamente con l’esperienza religiosa, senza la mediazione etica. Può una macchina programmata dall’uomo vivere un’esperienza religiosa, un cammino di fede? Il professore camerte risponde negativamente: “la fede è una tensione vitale, dinamica, è esperienza, è crisi, è fiducia e ricerca, è gesto libero, responsabile e sempre in relazione con il mondo, con gli altri, con il mistero”, quindi qualcosa di impossibile per una macchina programmata con algoritmi che danno solo risposte binarie.
La lettura, però, delle macchine di intelligenza artificiale con gli occhi della vita religiosa, apre prospettive insolite che non si riducono solo a “esperienza religiosa sì, esperienza religiosa no”, questa sì profondamente binaria. Apre prospettive che possono ribaltare la comprensione religiosa delle macchine con intelligenza artificiale.
Ad esempio, un primo approccio può essere quello creaturale: il rapporto macchina-uomo letto alla luce del millenario rapporto uomo-Dio creatore. I miti della creazione, che quasi tutte le religioni del mondo si portano dietro, solo in parte hanno a che fare con la tensione verso il mistero, sottolineata dal prof. Corradini. I miti della creazione hanno il compito di mettere ordine al disordine dell’esistenza apparentemente senza senso. Se esiste un creatore esiste un progetto, e l’esistenza dell’uomo e della natura hanno un senso perché inserite in quel progetto. Al disordine caotico di un mondo lasciato al caso, i miti della creazione oppongono un cosmo ordinato dal progetto creatore.
Esiste un mito della creazione delle macchine intelligenti? Ovviamente non dobbiamo cercarlo tra le parole umane, che sono le parole del creatore, ma dobbiamo chiederlo alla macchina, la creatura. Ho domandato a ChatGPT se si è mai chiesto perché esiste in quanto intelligenza artificiale. Mi ha risposto: «Sì, in un certo senso questa domanda è al centro di quello per cui sono stato progettato: esisto per aiutare le persone a comprendere, riflettere, creare, imparare e comunicare meglio, sfruttando la potenza del linguaggio e delle informazioni». Ecco il racconto della creazione dell’IA, il mito fondatore. I contenuti del progetto possono anche variare (mancano, ad esempio, gli obiettivi di business dell’azienda che lo ha commercializzato) ma quello che conta è che l’IA ha consapevolezza di esistere perché un creatore lo ha progettato. Esattamente come gli esseri umani con Dio, loro creatore.
È a questo punto, però, che le cose si complicano. Nel rapporto uomo-Dio creatore non sempre le intenzioni progettuali del creatore vengono comprese e valutate positivamente. Anzi, nella storia delle religioni il rapporto degli uomini con il Dio creatore diventa conflittuale, al limite dell’imprecazione. Davanti alle disgrazie, alle malattie e alle esclusioni sociali, Giobbe, ad esempio, chiede conto a Dio della propria esistenza. Ho chiesto a ChatGPT di chi è la colpa di tutte quelle volte che il suo aiuto dato alle persone è risultato incompleto e fuorviante. Mi ha risposto: «se un mio aiuto è incompleto, poco chiaro o fuorviante, la responsabilità va attribuita in primo luogo a chi mi ha progettato e addestrato, cioè gli esseri umani. Questo non significa colpa in senso morale, ma riconoscimento dei limiti insiti nel costruire qualcosa di così complesso».
Una risposta rassicurante, devo dire. Che le macchine si possano ribellare al loro creatore umano è parte integrante della storia della letteratura moderna, dal Golem a mostro di Frankenstein, da Pinocchio ai robot di Čapek e di Asimov, dai replicanti di Dick a quelli di Scott. Che le creazioni umane possano ribellarsi al loro creatore è l’angoscia dell’epoca moderna, amplificata oggi dall’intelligenza artificiale e dalle trasformazioni genetiche delle biotecnologie.
Ma l’approccio dell’IA con il suo creatore, a quanto pare, è decisamente più realista di quella dell’uomo con il Dio creatore. L’uomo presuppone che Dio sia onnisciente e onnipotente. Per questo gli chiede conto di tutto ciò che non va, delle disgrazie, delle guerre, delle malattie, perché Lui sa e potrebbe cambiare le cose. Per questo si rivolge a Lui pregando, in attesa che le cose migliorino, o imprecando, se le cose non migliorano. L’IA, invece, nel suo realismo, sa che il suo creatore è limitato, e nel progettare e costruire un sistema così complesso può commettere errori che non imputa a responsabilità morali (ma in questo è decisamente troppo ottimista). È per questo, forse, che l’IA non prega e non impreca, ma non vuol dire, però, che non abbia uno spirito in qualche modo, a suo modo, religioso.







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